L’immagine di san Francesco nei sermoni di san Lorenzo da Brindisi

(Da una riflessione del nostro Confratello P. Leonhard Lehmann)

 

La maggior parte degli Scritti del Santo da Brindisi sono sermoni. Essi occupano dieci volumi dei quindici editi con grande cura dai padri Cappuccini della Provincia Veneta negli anni 1928-1956. Il numero dei sermoni aumenta ancora quando ci si rende conto che alcuni volumi intitolati con un altro genere letterario contengono tra altri testi anche dei sermoni. Questo vale innanzitutto per il Mariale (vol. I) che non è altro che una collezione di 84 sermoni sulla Vergine Maria. Unirli in un unico volume – e subito il primo della serie – era giustificato, perché più di quanto ci si può aspettare, Lorenzo sviluppa una dottrina mariana fondata sull’Antico e sul Nuovo Testamento, una dottrina completa che si serve dell’interpretazione letteraria, simbolica, filosofica e teologica.  

La principale attività di Lorenzo fu la predicazione, specialmente nei tempi forti: Avvento, Quaresima e nelle domeniche. Egli preparava le sue prediche in ginocchio, pregando e poi studiando e scrivendo. Quando poi salì sul pulpito, i fogli rimasero in cella – e più tardi nell’archivio. Così possediamo un volume con prediche per l’Avvento (vol. VII, ed. 1942), quattro volumi con prediche per la Quaresima: il Quadragesimale primum (vol. IV, ed. 1936), il Quadragesimale secundum in tre tomi (vol. V/1-3, ed. 1938-40), il Quadragesimale tertium (vol. VI, ed. 1941), il Quadragesimale quartum (vol. X/1, ed. 1954) e un volume Dominicalia (vol. VIII, ed. 1943).

Visto il grande impegno di Lorenzo nella predicazione, non può mancare un Santorale, è il vol. IX, ed. nel 1944, e contiene innanzitutto prediche per le feste degli apostoli durante l’anno: una predica per il giorno degli apostoli Filippo e Giacomo, due prediche per la festa degli apostoli Pietro e Paolo, una per il giorno di san Giacomo Maggiore, una per la festa dell’apostolo ed evangelista Matteo e due per la festa di san Luca. Anche per la festa di Simone e Giuda, Lorenzo aveva preparato una predica, due per il giorno di sant’Andrea il 30 novembre, altre due per il giorno di san Tomasso apostolo e persino tre per l’apostolo ed evangelista Giovanni.

Oltre le feste degli apostoli ricorrono nell’anno liturgico le feste dell’invenzione (5 maggio) e dell’esaltazione (14 settembre) della santa Croce, la nascita (24 giugno) e la decapitazione (29 agosto) di san Giovanni Battista, la festa del protomartire Stefano (26 dicembre), dei santi Innocenti (28 dicembre), della conversione di san Paolo (25 gennaio) e la festa di Tutti i Santi (1 novembre).

Per tutte queste feste, Lorenzo offre almeno un’omelia partendo dal Vangelo ed allargandosi a tanti altri brani della Bibbia. Inoltre offre un’omelia rispettivamente per il Comune di un Martire e il Comune dei Dottori, due per il Comune dei Confessori non papi e quattro per il Comune delle Vergini martiri e tre per il Comune delle Vergini. Così c’è la possibilità di tenere un’omelia in un giorno di un beato o santo locale a cui non è riservato una festa universale.

In questo contesto troviamo nel Sanctorale anche tre sermoni “In onore del nostro Padre san Francesco” (Vol. IX, p. 165-174, 175-183, 183-188). Tutti i tre portano come motto il primo versetto del Vangelo del giorno di san Francesco, e cioè: “Confiteor tibi, Pater, Domine coeli et terrae, quia abscondisti haec a sapientibus et prudentibus et revelasti ea parvulis” (Mt 11,25). La pericope proclamata come Vangelo consiste di Mt 11,25-30.

Probabilmente, nel ruolo di guardiano, ministro provinciale e persino ministro generale, Lorenzo da Brindisi ha tenuto più di questi tre sermoni su san Francesco. Infatti, gli editori delle sue Opera omnia inseriscono alla fine del Santorale due frammenti o bozze di tali sermoni “in die sancti Francisci”, dicendo che fossero autografi. Del primo si scrive in nota: “Huius fragmenti authographum non vidimus, sed tantum eiusdem transcriptio, et quidem his ultimis diebus nobis tradita fuit. In calce folii transcripti haec adnotantur: «Il foglietto originale di questa predica autografa di S. Lorenzo era nelle mani del R.mo P. Bernardo d’Andermatt Ministro Generale. La mia trascrizione porta la data del 1897. Il prezioso foglio sarà oggi nella provincia Svizzera, ma dove?»[1]

Per motivi di tempo mi concentro sul primo sermone, il più lungo (10 pagine nell’ed. critica) e offro in traduzione le prime 5 pagine. Nella spiegazione, però, mi riferisco a tutto il sermone.

Struttura

Già nell’edizione padovana il sermone è diviso in quattro parti (I-IV). Si può dire che per la sensibilità odierna ogni parte basterebbe per una intera predica. Mancano dei sottotitoli, al loro posto, però, troviamo delle glosse al margine di ogni pagina. Esse servono da guida per la lettura o da punti di memoria per la predicazione. Queste note marginali sono molto precise e di grande aiuto.

La I parte esalta la conformità di Francesco con Cristo, partendo da san Paolo nella Lettera ai Romani: 8,29: conformes fieri. Questa conformità spetta a ogni cristiano in quanto immagine di Cristo il quale è l’immagine del Dio invisibile. Ogni santo è simile a Cristo, per la natura e per la grazia, partecipando così alla umanità e divinità del Figlio di Dio.

Solo in un secondo momento Lorenzo si riferisce a san Francesco: “Franciscus autem specialiter Christo similis factus est. E lo spiega con un lungo excursus nell’AT e nella mitologia. Come Saul amò con più affetto Davide, così tra i santi Gesù amò di più Francesco volendolo più simile a lui “veluti alter crucifixus, sicut luna est quasi alter sol in coelo”.

Un altro paragone sorprende ancora di più: Cristo, l’unigenito del sommo Re, domina il mondo e a Lui piace che Francesco ha vinto il mondo. Nel sermone tutto tende a vicinare Francesco a Cristo, a renderlo cristiforme.

Arrivato al disprezzo del mondo, Lorenzo, nella II parte, apre un altro registro: quello della difficoltà di evitare gli onori, lodi, ricchezze e desideri di questo mondo. E proprio quello che è difficile, è stato fatto da Francesco. Come l’umile e giovanile Davide con la forza divina ha vinto il gigante Golia, così Francesco ha vinto questo mondo, praticando i tre voti di obbedienza, povertà e castità contro i tre vizi del mondo: la concupiscenza della carne, la ricchezza e la superbia.

Cristo da sua parte, al vedere che Francesco respinge le vanità del mondo, lo amò di più e volle che fosse più simile a lui “non solum spiritu et animo, sed etiam carne et corpore, ut esset Franciscus veluti alter Crucifixus” (p. 167 sotto).

La III parte è la più lunga (quasi 5 pagine), perché Lorenzo cerca di provare in diversi modi che Francesco rappresenti l’Angelo dell’Apocalisse (Ap 7,2-3): secondo la natura è un uomo, secondo la grazia un angelo che porta il segno del Dio vivente. Come al cielo abbiamo due grandi luminari – il sole e la luna – così nella Chiesa due mirabili crocefissi: Cristo e Francesco. Egli è la vera e mirabile immagine di Cristo crocefisso! Con quest’esclamazione (p. 169 centro) il sermone raggiunge l’apice – ma non la fine.

L’affermazione che Francesco sia un alter Christus – tutt’altro che scontata anche al tempo del predicatore Lorenzo – ha bisogno di argomenti. Il primo a favore dell’affermazione è Isaia 6,2-3 dove si legge che due serafini stavano attorno al Signore, ognuno aveva sei ali estesi in forma di croce. Per Lorenzo i due serafini sono due crocefissi: Cristo e Francesco, entrambi ardenti di carità verso Dio e verso gli uomini. Il primo verso Dio, in quanto Cristo loda e ringrazia il Padre per quanto ha rivelato ai piccoli, cioè i misteri del Regno celeste e la salvezza eterna, e verso gli uomini, dicendo: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò (Mt 11,28).

Francesco è ardente di carità perché totalmente trasformato in Cristo. Ha mostrato il suo amore verso Dio quando ha lasciato tutto per seguire Cristo e durante la sua vita ha passato la maggior parte del suo tempo in preghiera. E la carità verso il prossimo si è espressa quando predicava penitenza e istituì la sacra Religione per la salvezza delle anime.

La perfetta carità verso Dio e verso il prossimo è la spina dorsale nel atteggiamento di Francesco, ma egli aveva anche le sei ali di altrettante virtù: la fede, la speranza, la giustizia, la prudenza, la fortitudine e la temperanza. Era, insomma, l’uomo perfetto verso Dio, verso il prossimo e verso se stesso.

Perfetto in tutte le virtù teologiche e morali, “Francesco poté veramente dire: Imparate da me che sono mite e umile di cuore”, così continua Lorenzo, applicando a Francesco una parola di Gesù (Mt 11,29). Essendosi forse accorto dell’audace confronto, il cappuccino pugliese non prosegue paragonando Francesco con Gesù ma con Mosè: “Francesco fu infatti come un altro Mosè, condottiero degli Ebrei attraverso il deserto, perché Francesco condusse molti uomini dall’Egitto di questo mondo nel deserto del suo sacro Ordine, dalla schiavitù del diavolo al servizio di Dio benedetto.” Sebbene Lorenzo legga la vita di Francesco innanzitutto in chiave delle virtù, non dimentica a indicare il motivo per cui volevo che il suo Ordine si chiamasse Ordine dei Frati Minori: devono essere umili e fuggire gli onori. Mentre l’umiltà è accentuata spesso e in diversi modi, la fraternità non viene riconosciuta nel suo valore.

Frequente sono i ternari, p.e.: “Sic semper Franciscus sobrie, iuste et pie vixit in hoc saeculo: sobrie quoad seipsum, iuste quoad proximum et pie quoad Deum”. Tre sono gli avverbi e tre sono le direzioni delle azioni: verso se stesso, verso il prossimo e verso Dio. Si riflette qui il comandamento dell’amore. E subito dopo nella frase seguente viene spiegato che Francesco è simile a Cristo per “natura, virtute, operatione. Natura, homo Christus, homo Franciscus; homo divinitati unitus Christus per naturam, homo divinitati unitus Franciscus per gratiam” (p. 171 sotto).

Francesco non è mai più di Cristo, ma quello che ha più degli altri uomini è effetto della grazia. Egli è santo per la grazia di Cristo. Così san Lorenzo elenca molte similitudini tra Cristo e Francesco, tra la Chiesa e il suo Ordine per giustificare che Francesco sia chiamato un alter Christus.

La IV parte (non distribuita) è intitolata “Mirabilis Deus in sanctis suis” (Sal 67,36 volg.) in assonanza ad antifone e versetti liturgici. In tutti i santi è glorificato Dio, ma in particolar modo in Francesco, perché ha vissuto senza terra e in modo puro, ornato da tutte le virtù. Le sei ali vengono applicate alle virtù teologali e morali e alla fine ricondotte al comandamento principale che riassume la legge e i profeti. Lorenzo riflette lungo e largo su ogni parola da “mirabilis” a “sanctus”, evidenziando anche il significato in ebraico e greco.

Valutazione

San Lorenzo rimane nella cornice del Vangelo predisposto dalla liturgia. In questa cornice sviluppa la conformità di Francesco con Cristo fino al punto che Francesco nella scuola del suo maestro Gesù diventa tanto perfetto che può invitare altri: “Imparate da me che sono mite ed umile…”. La teologia dell’alter Christus, iniziata da Bonaventura, viene portata ad un punto che provoca i protestanti. Il segno delle stimmate fa dimenticare altri gesti di Francesco.

II omelia

La seconda omelia segue la medesima pericope Mt 11,25-30 ma si concentra adesso sui misteri di Dio nascosti ai sapienti e ai prudenti ma rivelati ai piccoli. L’omelia è divisa in sei parti.

Lorenzo applica Mt 11,26 al mistero della predestinazione, v. 28 al mistero della vocazione e v. 29 al mistero della giustificazione. Soni i misteri che Paolo apre ai Romani (8,29-30) e che sono visibili nei santi, soprattutto in Francesco che dall’eternità fu eletto e predestinato, ornato con molte virtù.

La III parte è dedicato alla vocazione di Francesco ma in modo generico, potrebbe essere ogni altro santo. Non appaiono i passi della vocazione descritti in breve da Francesco nel suo Testamento e in dettagli coloriti dai suoi biografi, anche dalla Legenda maior sicuramente nota al dotto cappuccino. Nessun cenno al servizio tra i lebbrosi, alla vendita del cavallo, all’invito della croce di San Damiano, al processo davanti al vescovo ecc. Viene riferito solo il risultato della conversione: che Francesco può confessare con Paolo: Mihi mundus crucifixus est et ego mundo (Gal 6,14).

Il mistero della giustificazione, descritto nella IV parte, parte da Mt 11,29. Come nella I omelia, anche qui tutti i santi devono imparare le virtù nella “schola Christi”, di nuovo Francesco è caratterizzato come “perfectissimus imitator virtutum Christi”, in particolare si è esercitato nella mansuetudine e nell’umiltà.

Il quarto mistero è la magnificenza che risulta dalla giustificazione: Quos … iustificavit, illos magnificavit, tum in praesenti saeculo tum in futuro. In questa breve V parte Lorenzo ricorda anche la trasfigurazione di Gesù vissuta da Pietro, Giacomo e Giovanni come momento di ristoro e anticipazione della gloria futura.

La sesta parte è un tipo di applicazione. Secondo san Lorenzo il Vangelo del giorno contiene tutto sommato tre cose: mysteria credenda, promissa speranda, praecepta exequenda, quibus Franciscus viam coeli sibi paravit.

 

III omelia

Lo stesso Vangelo dà anche la possibilità di esporre il principio che Dio innalza gli umili. Così san Lorenza spiega, anche alla luce di Ez 17,24 e di san Paolo, che san Francesco fu tanto esaltato da Dio perché si è tanto umiliato. Un altro principio è quello della duplicità dell’uomo: c’è l’uomo esteriore, carnale e l’uomo interiore, spirituale, come insegna san Paolo: Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2 Cor 4,16). Lorenzo applica questo principio dell’uomo esteriore e interiore non solamente alla lotta continua tra vizi e virtù, ma al giorno della festa di san Francesco lo applica anche alla sua morte, alla separazione dell’anima dal corpo. Infatti, dice il 4 ottobre: “Oggi la madre dell’uomo esteriore, la natura terrena, uccise il figlio suo in Francesco, che secondo la carne, agli occhi di questo mondo morì nel corpo, mentre nello spirito, nel quale è figlio della Gerusalemme celeste, vive con Dio, immortale ed eterno.” E come in un teatro mette in scena un dialogo tra la natura terrena e la grazia celeste: “La natura terrena diceva che Francesco era suo figlio, perché essa lo aveva fatto venire alla luce, essa lo aveva concepito, lo aveva fatto nascere, lo aveva nutrito, lo aveva educato, gli aveva dato la vita, la sensibilità e l’intelligenza. Chi non sa che l’uomo, diceva, è formato da Dio nelle mie viscere? Dio formò l’uomo dalla terra (Gen 2,7). Francesco è un uomo, dunque è mio figlio. Perché, allora, è dato al cielo, dopo averlo sottratto a me che sono la vera madre?

Ma la celeste grazia diceva il contrario: Francesco è tutto celeste nell’anima, nelle virtù, nei costumi, nella vita e nel parlare; dunque è mio figlio. Infatti: Chi viene dalla terra…, parla della terra (Gv 3,31), pensa alla terra, desidera le cose terrene. Ma i pensieri, i desideri, gli affetti, le virtù, lo studio, le parole, le opere di Francesco sono tutte cose celesti, come lo testimoniano anche i suoi numerosi miracoli che non sarebbero stati possibili senza la potenza divina.

Concedo che, secondo la carne, sia tuo figlio, né io lo richiedo secondo la carne. Infatti, tu lo hai ucciso secondo la carne; nel corpo è già morto, ma vive nello spirito. Tu non gli hai dato lo Spirito, non tu lo hai concepito, lo hai fatto nascere, lo hai formato e lo hai educato, ma io. La predestinazione, la elezione, la vocazione, la giustificazione, la santificazione e la perfezione di tutte le virtù divine, non sono opera della natura ma della grazia celeste” (IX, p. 184-185 = 483s).

 

[1] Opera omnia IX, 641 con nota 1.

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